venerdì 7 dicembre 2007

Io Doroty e la Salamandra

Avevo 10 anni quando i miei genitori, costretti da un impegno (credo fosse una cena di gala), mi lasciarono solo in casa. A dire il vero non ero proprio solo; con me c’era Doroty la barboncina di mamma. Non che mi fosse di grande compagnia. Era un cane da concorso. Uno di quelli con il pedigree… in parole povere mi era vietato giocarci.
Non ero proprio un bambino coraggioso, anzi a dirla tutta ero un fifone da primato. Quella sera però avrei dovuto farmela passare tutta, perché quella sera avrei scoperto che insieme a me e Doroty in quella casa c’era un mostro. Venni a conoscenza della sua presenza subito, ancora prima che i miei genitori uscissero di casa. Lo vidi lì, attaccato alla parete della mia stanza. Subito corsi da mia madre che stava uscendo. Mi abbracciai alle sue caviglie e gli raccontai quello che avevo visto: nella mia stanza c’era una lucertola, ed era enorme.
Mia madre mi prese in giro, ma come: alla mia età ancora avevo paura delle lucertole. Io cercai di spiegargli che era veramente enorme…lei non volle sentire. Era in ritardo. La sola cosa che riuscì a ottenere fu la promessa che lei e papà una volta tornati mi avrebbero aiutato a cacciarla. Io provai a fargli capire che quella cosa poteva mangiarmi prima che loro tornassero. Mamma fu categorica: come poteva, una cosa più piccola di me, mangiarmi e poi stavano via non più di due ore. Detto questo chiuse la porta a chiave e se n’andò. Senti la macchina partire ed allontanarsi. Ripensai alle sue ultime parole…come può, una cosa più piccola di me, mangiarmi. Il problema stava li…lei non era affatto più piccola di me.
Allora pensavo fosse una lucertola, oggi so che quella bestia era una “ Salamandra Reale gigante del Giappone” un rettile in grado di raggiungere il metro e sessanta di lunghezza e i 120 chili di peso.
Avrei benissimo potuto lasciare la lucertola nella mia stanza, chiuderla a chiave e aspettare che i miei genitori tornassero. C’era un problema però: quella era la mia stanza, lì c’erano i miei giocattoli, i miei giornaletti…lì dentro c’era la mia identità di bambino e non avrei mai lasciato che nessun mostro dalla pelle squamata e dalla lunga lingua me la portasse via.
Svegliai Doroty che, per quanto la sua specialità era sculettare su un tappetino, è pur sempre un cane e sa difendersi. Anche se io non ero la sua padrona, mi avrebbe difeso. Su entrambe le cose mi sbagliavo.
Aprì l’armadietto di mio padre e presi la sua sacca da golf, cercai quella che mi sembrava la più pesante, scelsi il ferro tre (non che fosse il ferro tre), ma quello conoscevo e quello doveva essere.
Con me avevo una mazza da golf, ferro numero tre. Una barboncina con un ottimo pedigree e uno scola pasta in testa a mo d’elmetto militare, tenuto stretto da un laccio di scarpa legato sotto il mio mento.
Per mia fortuna avevo lasciato la luce della mia cameretta accesa. Almeno non avrei dovuto affrontare il mostro nell’oscurità.
Entrai nella mia cameretta. Lei non c’era. Non era a terra, non era sulle pareti, non era…era sul soffitto. Appena mi vide cominciò velocemente a scendere dalla parete opposta alla mia, per poi lanciarsi sul pavimento con tutta la sua mole creando un forte tonfo. Alla vista della salamandra Doroty svenne. Non credevo che i cani fossero in grado di farlo, ma lei lo fece. La salamandra alla vista del corpo inerme si lanciò a bocca spalancata nella sua direzione. Afferrandolo al collare, riuscì a togliere il cane dalle fauci del rettile, e lo lancia fuori della cameretta. Subito la salamandra puntò su una mia gamba e, solo un colpo della mazza da golf su la sua testa, impedì che me l’addentasse. Provai a colpirla una seconda volta, ma lei con la sua lingua e con le sue fauci mi disarmò; persi, pertanto, l’equilibrio e caddi a terra. Lei era pronta ad attaccarmi. Si avventò su la mia faccia io piegai il capo. Lo scolapasta che portavo come elmo s’incastrò nella sua larga bocca. Prontamente lo slacciai ed uscì dalla cameretta, serrando la porta dietro di me. Non feci in tempo a chiuderla a chiave che la salamandra con una zampata l’aprì. Recuperai Doroty che si era risvegliata ma non si era ripresa del tutto, e corsi verso la cucina. La salamandra sputò lo scolapasta e questi colpì il piedistallo di un vaso a cui mia madre teneva molto. L’oggetto si ruppe e il piedistallo cadendo creò un effetto a pallottola spuntata o se si preferisce domino. A questo punto, la salamandra entrò in cucina. Avevo tenuto in conto l’eventualità che la mazza da golf non sarebbe bastata e in vista di ciò avevo organizzato un piano d’emergenza. Sopra una tovaglia ero riuscito a mettere tutte le pentole che avevo trovato e accatastato sul lavello, all’entrata della cucina. Un lembo del panno attraversava completamente il tavolino. Io ero sopra quel tavolino. Appena la Salamandra fu in posizione presi la tovaglia e mi gettai giù dalla tavola. Il mio peso fece cadere tutti i tegami addosso alla salamandra…forse, l’avevo uccisa.
Andai in bagno tronfio della mia vittoria. Doroty mi seguii. L’acqua del rubinetto non mi fece udire il rumore di pentole che si spostavano. Fu solo quando finì di asciugarmi la faccia che mi accorsi di lei. Era ancora viva, un po’ ammaccata, ma viva e soprattutto incazzata. Lanciò un grido sibilante. Doroty terrorizzata si gettò verso la finestra del bagno, che era chiusa, ma che soprattutto era al sesto piano. La salamandra mi diede una forte codata gettandomi a terra. Mi salì addosso e provò a mordermi. Da terra recuperai lo spazzolino del Water che conficcai trasversalmente nella bocca della lucertola. Lei si dimenava per toglierselo. Io non riuscivo a levarmela di dosso, il suo peso mi stava schiacciando. Dovevo ucciderla prima che liberasse la bocca. Mi serviva qualcosa d’ affilato. Lo trovai. Presi uno dei vetri della finestra, la finestra che Doroty aveva rotto precedentemente. Penetrai il vetro nella testa della salamandra, proprio in mezzo agl’occhi. Il rettile rantolò un po’, poi esalò l’ultimo respiro.
Quando i miei tornarono, per loro lo spettacolo non fu dei migliori. La casa era devastata. Il loro figlio dormiva sotto una gigante salamandra priva di vita… in più per mia madre c’era lo shock di Doroty morta.
D’allora i miei genitori non mi lasciarono più solo in casa, anche se ormai non avevo più bisogno di loro perché da quella notte avevo smesso d’avere paura; ma, avevo anche elaborato una strana forma di diffidenza verso i cani, in particolare verso i barboncini.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi piace troppo questo racconto e te l'ho già detto. Clap Clap!

MarcoS. ha detto...

grazie rei